Lunedì mattina e numeri matematici, formule statistiche e unghie finalmente lunghe e nere costellano questo inizio giornata mentre la tensione è già altissima e dopo settimane di astinenza da fumo in un solo giorno riesco ad essere una ciminiera. Grigio fuori mentre ali spezzate di uccelli desiderati sembrano sempre più lontani a causa di una frigidità mal conosciuta e ben apprezzata in momenti come questo in cui la freddezza della calcolatrice scientifica mi fa amare più i fogli che la pelle. Eppure la concentrazione è apertamente una utopia mentre ancora una volta sono gli afterhours la colonna sonora della mia vita in una sorta di loop in cui non riesco a liberarmi di questo nieztschiano eterno ritorno all’uguale: un cd degli afterhours, un concerto degli afterhours, uno sguardo rubato a manuel agnelli e parole, parole, parole, fiumi di parole alla Jalisse solo per descrivere quanto i topi mi stiano mordendo dentro e quanto io non sia in grado di controllarmi. Mentre persino le mani tremano, ma non è freddo. Sono come un muratore che è appena uscito dal lavoro o come una lampada dimenticata: coperta di polvere. Non riesco a trovare la serenità che la mia condizione privilegiata mi imporrebbe: ma non è depressione. Non sono depressa, tantomeno esaurita. Ho trovato come descrivere la mia malattia: tensione verso l’infinito. Come se non vi fosse mai una fine, come se ogni traguardo sia fine a se stesso, come se non si potesse provare piacere oggi ma sempre rivedere il piacere in qualcosa che deve ancora venire. La senti anche tu questa sensazione di tensione? Un piacere atteso sempre più grande che non ti fa godere oggi di quello che c’è. Di questi momenti in cui la vita va bevuta ad ampi sorsi fino ad ingozzarsi e farsi mancare il fiato. Fino a soffocare. Ne discutevo ieri appoggiata al letto bianco nel perenne stato dislessico dell’ultimo periodo con l’altra metà di me che dimostra pazienza e amore infinito per il mio essere afoso. E mi scendeva una lacrima d’amore. E mi scendeva una lacrima di passione iersera, quando di fronte ad un documentario su una popolazione del centro africa guardavo stucchevole quei bambini splendidi dalle pance gonfie e le mosche ronzanti come avvoltoi su carcasse e donne, spogliate delle vesti minime per il pudore personale, che con lunghi coltelli dividevano una antilope appena cacciata. E con la mia metà, la mia passione, il mio D discutevamo che lì non v’è crisi finanziaria, non v’è pensiero di quelli che passano in testa a noi. Non v’è statistica o altro. Vi sono canti tribali e aria di morte, una perenne aria di morte per donne che han 25 anni e ne dimostrano 50. Così rifletto che sono una insaziabile egoista di sensazioni, fortunata e impudica. E’ vietato soffrire se poi al mondo c’è chi ha la sofferenza come stato costante. E siamo solo degli stramaledetti egoisti. La terra deve tremare e cambiare: tremare davvero sotto i culi dei “grandi della terra” (ma grandi per cosa??????????????), a quegli inutilmente grandi che tronfi sulle loro sedie dicono bugie, a noi, a voi, a loro, a me. Così conscia di uno stato di coscienza mi dico COMBATTI, INVECE D’ABBATTERTI.
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